domenica 10 marzo 2013

Recensione di "Flight" di Robert Zemeckis

Robert Zemeckis è tornato. Dopo il suo exploit nel mondo dei cartoons e della performance capture, il regista ha spalancato una porta che aveva lasciato socchiusa per circa tre anni e ha fatto la sua ennesima entrata trionfale con “Flight”.

La storia è incentrata su Whip Whitaker (Denzel Washington), un pilota d’aerei col vizio dell’alcol, che dopo una notte trascorsa in piena dissolutezza, si rimette in sesto con qualche striscia di coca, per affrontare il consueto volo di linea. Dopo alcuni minuti di viaggio apparentemente tranquillo, un motore dell’aereo inizia a dare problemi fino a non rispondere più ai comandi e Whip, è costretto ad improvvisare un atterraggio d’emergenza. Nonostante il post sbornia, la coca e un paio di bottigliette di vodka scolate pochi minuti prima, il pilota riesce ad effettuare una manovra che ha dell’incredibile, capovolgendo l’aereo di 180°, e atterrando in una pianura ben distante da abitazioni e civili. L’impresa eroica salva 94 vite su 100, e le inevitabili indagini della National Transportation Safety Board pendono in due direzioni: quelle che
riconoscono un difetto meccanico nell’ aereo e quelle che accusano Whip e la sua dipendenza.

Flight da subito si presenta come un cocktail, altamente alcolico, di elementi ben distillati tra loro eppure amalgamati a dovere. Alta tensione, dramma e persino humor, infatti, crescono all’unisono lasciando il giusto spazio tra un’emozione e l’altra.

Dopo pochi minuti di pellicola, le perturbazioni che incontra l’aereo pilotato da Whitaker, colpiscono anche lo spettatore, che grazie ad un effetto speciale da Oscar, diventa uno sfortunato passeggero, costretto a condividere ogni violento vuoto d’aria con i protagonisti. L’aereo, subisce qualche secondo di impicchiata, poi cerca di mantenere quota, finché il completo capovolgimento del velivolo sembra una manovra azzardata ma inevitabile, e allora è lì, che il pubblico in sala, tra mani sudate e occhi sgranati apprezza in pieno l’arte dello special effect.

Le sei vittime (due tra l’equipaggio e quattro tra i passeggeri) gridano vendetta, come sostiene l’avvocato Lang (Don Cheadle) “qualcuno deve pagare”, e Whip, che inizialmente punta il dito unicamente contro il guasto aereo, finisce col dover puntare il dito anche contro se stesso.

Da qui, infatti, per il protagonista inizia un turbolento percorso, che ha come traguardo il temuto processo finale, quel momento di verità o menzogna in grado di osannarlo come un eroe bugiardo o di denigrarlo come un alcolizzato sincero.

Durante la storia ci sono due indagini che proseguono in parallelo, la prima è quella processuale della NTSB che vuole andare in fondo al caso, la seconda è l’indagine interiore di Whip, che dopo un breve risanamento dovuto alla catastrofica esperienza, ricade nel baratro. Nonostante abbia una schiera di difensori dalla sua parte, tra cui Nicole (Kelly Reilly), una nuova fiamma tossicodipendente che lo accompagna nella redenzione, rifiuta l’aiuto e intrappolato nella paura di fare giustizia, soprattutto nella propria coscienza, ingurgita birre e distillati, con lo scopo di annegare il presente e il futuro insieme ai ricordi, imprigionati in vecchie videocassette.

Il protagonista, inciampando tra eroicità e colpevolezza, rotola incontrollatamente come un masso lungo una rupe in discesa, tutto sembra evaporare nella sua vita, tranne l’alcol nelle bottiglie: l’ex moglie e il figlio lo vedono come un insopportabile ubriacone, Nicole come un “drogato” che ha bisogno d’aiuto, la stampa come un eroe, gli avvocati come un cliente che non deve andare in prigione, l’amico, Charlie (Bruce Greenwood), come un salvatore che non vuole né salvarsi, né essere salvato.

Ma chi è realmente Whip Whitaker lo si scopre solo alla fine dei giochi, quando sotto processo, dopo aver ceduto all’ennesima tentazione alcolica e dopo essere stato “riesumato” in circostanze bizzarre dall’amico spacciatore, Harling (John Goodman), decide di tappare la bocca all’alcol e lasciar parlare la sua coscienza.

Tra scuse, bugie e tanta negazione, il senso di colpa e la voglia di ripulirsi prendono il sopravvento, il sangue di Whip, come durante il suo straordinario atterraggio d’emergenza, resta freddo nonostante i postumi dell’ubriachezza e con la stessa manovra istintiva, si schianta nella verità, causando la morte del vecchio Whip e la nascita di quello nuovo.

“Flight”, non sarebbe stato lo stesso senza il talento di Denzel Washington, attore (nominato agli Oscar 2013) dalla grande espressività, impeccabile sia nei momenti più soft che in quelli più intensi e drammatici.Ha trasformato il Whip spaccone dai vizietti facili, in un eroe introspettivo, che conquista appieno questo titolo solo nel momento in cui riesce a scacciare i suoi demoni e a diventare finalmente libero.

L’elemento sdrammatizzante è John Goodman, la cui sola presenza scenica strappa un sorriso. Nel film ha il ruolo di un pusher “rimorchiatore”, colui che con un rituale “stupefacente” è capace di “tirar su” chiunque, dopo una pesante sbornia.

“Flight” è un film avvincente che, con abili manovre narrative, trasforma un disastro aereo, in un disastro interiore e un eroe colpevole, in un colpevole che diventa eroe.

Con questa pellicola Robert Zemeckis, fa ritorno al cinema drammatico ed esistenziale, lo stesso dal quale hanno preso vita capolavori come “Forrest Gump” (1994) (col quale ha vinto l’Oscar come miglior regista) e “Le verità nascoste” (2000).

Dunque possiamo affermare, che come allora, anche questa volta, il regista è riuscito a far “decollare” pathos, mente e cuore dello spettatore.

Leggi questa recensione anche qui:http://www.ginadonewsmagazine.it/detail.php?id=8623

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