domenica 10 marzo 2013

"La Migliore offerta" di Giuseppe Tornatore: un'asta tra amore e inganno

Arte. Amore. Inganno. Queste le tre parole chiave per aprire la misteriosa “porta” che rinchiude La migliore offerta, ultimo capolavoro di Giuseppe Tornatore.

La pellicola racconta di Virgil Oldman (Geoffrey Rush) un prestigioso e scontroso antiquario e battitore d’asta di mezz’età che consuma la sua esistenza tra opere d’arte e lussuosità, immerso costantemente nella solitudine, con la quale condivide il suo gelido e poco vissuto appartamento/museo. Un giorno Oldman riceve una telefonata da parte di una giovane donna, Claire Ibeson (Sylvia Hoeks), la quale gli richiede una valutazione dei beni presenti nella prestigiosa villa dei suoi genitori scomparsi da poco. Le telefonate tra Oldman e la signorina Ibeson, diventano sempre più frequenti, ma allo stesso tempo più strane. La cliente misteriosa, inventando scuse dopo scuse, inizia a negarsi agli appuntamenti prestabiliti, facendo in modo di comunicare, con l’antiquario di fiducia, unicamente a voce. Oldman, verrà incuriosito sempre di più da questa donna tra il reale e l’irreale fino a diventarne ossessionato e a volerne scardinare, uno dopo l’altro, i fitti misteri che l’avvolgono.

Su quest’ opera d’arte incastonata nella celluloide, Tornatore ha decorato sopra tutti gli orpelli di un thriller serpentino in cui gli unici investigatori sono la curiosità e il sospetto, crescenti ex aequo, nella mente dello spettatore attento.

Inizialmente, tutto sembra avere una logica nel gran marchingegno fantastico: lo stimato e introverso antiquario, innamorato da troppo tempo unicamente delle opere d’arte che sfiora con le dita perennemente celate dai guanti, scopre una nuova forma di perfetta imperfezione in una voce di donna, che finché resta tale, trova volto in tutte le donne dipinte e incorniciate nella sua stanza/cassaforte. Ma dopo poco le parole proferite dall’ enigmatica donna, graffianti o gentili che siano, non bastano più e il signor Oldman, desidera ardentemente scoprire dell’altro e poi dell’altro ancora; perché una volta lanciata una generosa offerta, bisogna continuare testardamente a rilanciare finché la preziosa opera d’arte non è tra le proprie mani, pronta rivelare chissà quali misteri, chissà quali inganni.

Col passare del tempo, Claire, lentamente, da dietro una porta dipinta si svela, inizia a rispondere alla curiosità di Virgil Oldman, e mentre lei smonta i suoi misteriosi “ingranaggi”, quelli dell’antico automa di Vaucanson, ritrovati nella villa dal protagonista, vengono come per magia assemblati, dalle mani esperte di Robert (Jim Sturgess), giovane restauratore, l’unico ad essere a conoscenza dei fatti.

Non appena i sentimenti dell’accigliato antiquario si consolidano pericolosamente e si affermano sempre di più, quelli dello spettatore decelerano e divengono sospettosi; come svelato da Billy (Donald Sutherland), “complice d’asta” di Oldman, infatti, bisogna stare bene attenti, perché i sentimenti, spesse volte, possono essere simulati e da veri autentici posso invece risultare degli scandalosi artefatti.

Con La migliore offerta, la perfezione dell’arte si incontra e si scontra con l’imperfezione della vita, non a caso, il falso nell’arte è facilmente riconoscibile con delle precise tecniche, ma nella vita l’inganno può essere così ben studiato da renderne impossibile l’identificazione e devastanti le conseguenze.

Dunque, l’autenticità spesso non è parte della vita, dell’amore e delle sensazioni, ma se è vero che “in ogni falso si nasconde qualcosa di autentico”, allora il finale da triste, diventa deliziosamente insopportabile, lasciandoci sospesi, nel labirinto temporale ed intenzionale.

Se la “V” sulla pupilla del ritratto copiato dall'immaginaria falsaria Veliante rappresenta quel dettaglio di autenticità che lo contraddistingue, anche la storia d’amore tra Claire e Virgil può possedere, dunque, un qualcosa di autentico? Il bello, è che non lo sapremo mai.

Ben più di un thriller, ben più di una storia d’amore, la migliore offerta è un’opera indagatrice, che tramite l’arte ci insegna la vita, spiegandoci la dinamica di quei marchingegni eccezionali che a furia di stare in contatto finiscono per abbracciarsi, fino a combaciare completamente.

Dal punto di vista tecnico l’ultima pellicola di Tornatore è di gran classe, i fotogrammi raffinati scorrono perfetti uno dopo l’altro, le immagini sono limpide, esaltano i dettagli e nascondo le imprecisioni, come se ci fosse un’unica inquadratura possibile per far trionfare quell’unica scena. La fotografia impeccabile di Fabio Zamarion, vincitore del David di Donatello nel 2007 con "La sconosciuta", si sposa perfettamente con
le musiche delicate del Premio Oscar Ennio Morricone.

Standing ovation per Geoffrey Rush, attore eccezionale, un'unica cosa con Virgil Oldman, non solo corporalmente ma soprattutto emotivamente. L’esasperazione crescente del personaggio, inizialmente misurato e distinto, è recitata egregiamente; una lezione visiva esaustiva su come le passioni, le emozioni e i sentimenti accecanti corrodano, sviliscano, e su come questo deterioramento sia imprescindibile, perché la vita è un’opera d’arte bizzarra, che non va analizzata ma vissuta.

Cosa aggiungere per concludere, se non che questo film di Giuseppe Tornatore è il suo ennesimo capolavoro, espressione massima del fatto che il regista dà il meglio di se anche e soprattutto uscendo dalla realtà siciliana di Maléna (2000) e Baarìa (2009) e rientrando in quell’atmosfera sublime già vista in “opere d’arte” come Nuovo Cinema Paradiso (1988), Una pura formalità (1994) e La leggenda del pianista sull’oceano (1998).

Probabilmente non è giusto azzardare dicendo che questa pellicola è “la migliore offerta” di un grande raccontatore di storie come Giuseppe Tornatore, ma si può di certo affermare che è un’eccellente offerta e che speriamo ne giunga un’altra, ancora migliore, al più presto.

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