lunedì 17 ottobre 2011

“ I want to be a soldier ”: una spremuta di Arancia Meccanica

Alex è un normalissimo bambino di dieci anni. Sogna di fare l’astronauta e come la maggior parte dei bambini ha un amico immaginario, il capitano Harry, che lo segue in questo sogno ad occhi aperti. Dopo la nascita dei due fratellini, Alex sente di non essere più il centro  nevralgico delle attenzioni dei suoi genitori  e questa condizione si ripercuote  visibilmente sui suoi rapporti sociali. Complice del disagio, anche e soprattutto la “conquista” della tanto ambita televisione in camera , i cui programmi spesso violenti, forniranno ad Alex uno strumento per alimentare e coltivare la sua rabbia e incomprensione verso il mondo, trasformandolo man mano , anche grazie ai precetti  del nuovo e cattivo amico immaginario, il sergente Cluster, in un bulletto da babygang con aspirazioni da soldato sterminatore e guerrafondaio.

“I want to be a soldier” scritto e diretto dal regista catalano Christian Molina, è un lungometraggio (dura appena 88 minuti) diretto con dovizia di particolari e impregnato di una sceneggiatura che spara frasi e/o citazioni come fossero cannonate, da film-capolavoro del calibro di “Apocalypse Now”, “Full Metal Jacket” e “Arancia Meccanica”, ma che forse resta  incompleto e a tratti superficiale nel messaggio che cerca di lasciare. La pellicola, infatti, dà quasi l’impressione che il regista abbia voluto raccontare una storia  e che per quanto dura e cruda fosse, abbia poi deciso di chiamarsi fuori, come per dire: “traetene voi le conseguenze”, segno evidente di una morale scottante che lascia l’ampio dibattito allo spettatore. Alex, magnificamente interpretato dal ragazzino di “Fragile”(Fergus Riordan), nel film, dà l’idea di una spugna , che assorbe tutto ciò che lo circonda, dai cattivi esempi  appresi alla tv (guerra,morte e violenza), ai rimproveri materni, quello che manca è, come spesso capita, la via di mezzo tra le due cose:  il dialogo, oppure una risposta all’affermazione: “non serve a niente essere buoni”, o ancora chiarimenti riguardo a dei simboli umanamente e storicamente raccapriccianti, come  la bandiera delle SS e la croce celtica, che Alex attacca tranquillamente al muro come fossero stemmi di supereroi. La colpa, banalmente, più che sui genitori assenti, ricade solo sulla televisione,  protagonista, di certo, colpevole della vicenda, ma anche strumento che se somministrato con le giuste precauzioni e in presenza di un adulto, non rischia di bisbigliare subdolamente all’orecchio dei ragazzini : “nella televisione c’è tutto quello che vale qualcosa”. Oltre a Fergus Riordan, il cast brilla di grandi nomi, come quello di Danny Glover , Ben Temple  e Robert Eglund (già visto nei panni di Freddy Krueger), lo psicologo che ripropone ad Alex un sinonimo della “Cura Ludovico”, sperimentata al più famoso Alex (De Large) di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick. L’ascesa del cast subisce una clamorosa impennata al contrario quando la  “Valeriona nazionale” Marini, anche produttrice del film, compare spezzando la linea narrativa, interpretando (male) la maestra di Alex. Presentato  nel dicembre del 2010 al festival del cinema di Roma, “I want to be a soldier” è un film che schiaffeggia e lascia schiaffeggiati, un film che va visto, forse anche dai ragazzini, possibilmente, dai 14 anni in su o accuratamente accompagnati. I punti di forza  sono, senza dubbio, il finale da pugno nello stomaco e le considerazioni a cui dà il via, insegnandoci involontariamente,  come citato dal regista e critico francese Jean-Luc Godard,  che “la televisione crea l’oblio, mentre il cinema, ha sempre creato dei ricordi”.  

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